Un consiglio che si sente molto spesso, sia in contesti prettamente terapeutici, sia in quelli spirituali – terapeutici anch’essi – è quello di stare con la propria solitudine; ascoltare e guardare il vuoto ignorato che custodiamo nel nostro profondo.
Mi accorgo che molte persone pensano di farlo, guardando il soffitto e/o stordendosi nel frattempo con pseudo metodi anti–ansia, e che, invece, passano il tempo a rimuginare foschi pensieri.
Questo non significa “stare col vuoto”, ma stare con l’ansia, l’angoscia e il dolore che tale vuoto ci provoca. È molto difficile superare queste emozioni e andare oltre; spesso, nel tentativo di guardare in faccia le nostre paure, vi rimaniamo impantanati e corriamo il rischio di incorrere nell’isolamento e la depressione.
Se davvero pensiamo che sia giunto il momento di scoperchiare la voragine – perché è da troppo tempo che stiamo male, perché ci sentiamo frustrati o semplicemente perché vogliamo cambiare o per qualsiasi altro motivo- facciamolo pure. Ma non rimaniamo con gli occhi fissi nel buco nero troppo a lungo, spezziamo il silenzio, troviamo una piccola occupazione, chiamiamo un amico. Diamo tempo al tempo, non pretendiamo di affrontare “tutto e subito” quello che abbiamo tenuto nascosto per anni. La risposta arriverà.